Vivere è uno spettacolo che squarcia il silenzio.
In una società che ostenta una sempre maggiore apertura ed emancipazione, ci sono argomenti che vengono deliberatamente ignorati e omessi, che vengono ancora percepiti come “tabù”; primo tra tutti quello della malattia mentale, realtà così scomoda, temuta e poco conosciuta da essere volentieri annullata più che affrontata.
Il teatro per accendere i riflettori su scomode realtà
Fortunatamente, spesso, è il mondo della cultura ad intervenire per colmare questi vuoti e riempire con la ricerca artistica questi disumani silenzi. Vivere, a mio parere fa proprio questo. Attraverso lo sguardo fresco e disincantato dei due autori: Anna Piscopo che ne è anche l’attrice principale e Lamberto Carrozzi che ne è il regista, con coraggio, pulizia e tanta ironia, affronta il tema della malattia mentale, senza alcuna pretesa di giudizio o soluzione.
Calimba e le sue psicosi
In scena per una serata sola, il 4 febbraio, nell’ambito della rassegna YOU TWO. The YOUng City, al Teatro Centrale Preneste, Vivere conduce il pubblico all’interno del mondo, capovolto, caotico, disordinato e confuso di Calimba Di Luna, una donna dalle molteplici personalità, talmente provata dalla vita da aver sviluppato diverse psicosi. La solitudine ne rappresenta l’ossessione cardine quella da cui poi, a cascata, derivano le altre. E la protagonista ne è così traumatizzata, a causa dei diversi abbandoni subiti nel corso degli anni, da diventare essa stessa, in un delirio di onnipotenza, colei che “fa sparire”.
Tuttavia, questa tanto temuta solitudine viene esorcizzata nel corso dello spettacolo dalla potente azione dell’attrice, Anna Piscopo. Che, pur sostenendo tutto lo spettacolo da sola, nei panni di Calimba Di Luna, non trasmette mai al pubblico la sensazione di essere di fronte a un semplice monologo.
Anna Piscopo
Grazie alle sue capacità attoriali, la Piscopo riesce a portare in scena molteplici personaggi, non solo quando interagisce con interlocutori immaginari ma anche, e soprattutto, quando interpreta le mille personalità della protagonista. In altre parole, la Piscopo è talmente presente nel dare voce all’inquieta Calimba da creare un’opera polifonica, movimentata, in cui la riflessione e l’introspezione sono vivaci e frizzanti, grazie al continuo cambiamento di ritmo e toni che ne rispecchiano la sfaccettata identità.
Dal lungo lavoro di scrittura dei due autori, durato oltre due anni, e dall’esplosiva interpretazione, molto fisica, della Piscopo che, con audacia, sicurezza e maestria gioca con il suo corpo, utilizzandolo in tutte le possibili direzioni, emerge il ritratto di una donna che, seppur a suo modo, non ha smesso di lottare e non si arrende.
Calimba di Luna, sentendosi emarginata e rifiutata dalla realtà si è costruita un suo mondo privato. E proprio questo “universo” offre agli autori il pretesto per affrontare una serie scottanti tematiche.
Vivere e la critica sociale
In Vivere ho colto “velata” critica al consumismo, rappresentato, in particolare, dal fast fashion che sarebbe “l’altra faccia” dell’accumulazione seriale. Calimba vive sommersa da oggetti che ormai potrebbero essere considerati rifiuti ma lei, anziché buttarli, li accumula con affetto, sostenendo che sono proprio quelle le uniche cose che non la tradiranno mai, a differenza delle persone. Vivere affronta l’attualissima questione degli haters che, con furia e gratuitamente, si scagliano contro la protagonista, cercando di distruggerla, minando con violenza gratuita le sue fragili certezze.
Poi, andando più a fondo, lo spettacolo riflette sulla pedofilia nella chiesa e nella scuola, da un punto di vista inedito e davvero poco considerato: quello delle suore, anziché dei preti.
Il mondo esterno come minaccia a quello privato
Calimba, sempre in bilico tra un eccesso e il suo opposto, ha condensato il mondo esterno in macro entità che, nel bene o nel male, costituiscono una minaccia per il suo effimero “universo personale”. Il Condominio e l’INPS sono i nemici esterni, persecutori crudeli, metafora di un sistema coniato per schiacciare i più deboli; mentre il Papi – pseudo amante, conosciuto solo virtualmente sui social – rappresenta, nello stesso tempo, una possibilità di riscatto; l’abbandono della comfort zone che la protagonista non è ancora disposta ad affrontare e una palese delusione.
Le trovate geniali
Tutto questo si arricchisce di trovate particolarmente spassose – e sempre molto critiche nei confronti della società; dal cagnolino che si rivela solo una trovata coquette e modaiola, più che un impeto di amore per gli animali; all’esaltazione della patata, come concetto oltre che alimento.
Il linguaggio
Infine, tutto lo spettacolo è rafforzato dall’elemento del linguaggio, che, nel suo essere un dialetto ibrido, a metà strada tra il pugliese e romano, rispecchia la personalità frammentata della protagonista, incapace di scegliere e prendere posizione, come del resto rivendica esplicitamene lei stessa.
L’Ironia
L’ironia che, dunque, rappresenta una costante di questo spettacolo, molto colorato, nonostante la sintetica scenografia, non diventa mai derisione in questo racconto che non intende proporre soluzioni o fare la morale, ma semplicemente raccontare una storia e far riflettere su un dramma quotidiano che, al contrario di quanto si potrebbe pensare, è molto diffuso.
L.P.