La Particina
Uno spettacolo del tutto singolare, di Giuseppe Manfridi, con Giuseppe e Lorenzo Manfridi, padre e figlio in scena per la regia di Claudio Boccaccini.
La Particina è un’opera di teatro sul teatro, che riflette, sviscera e, per l’esattezza, direi: psicoanalizza il ruolo della tinca teatrale. Un archetipo scenico prezioso che, purtroppo, con i tagli alle compagnie e alla cultura, sta recentemente scomparendo tanto da rischiare l’estinzione ma che, soprattutto in alcuni ecosistemi letterari è, a dir poco, fondamentale.
La tinca: un pesce riservato
Per spiegarmi meglio, ritengo opportuno specificare che la tinca è un pesce d’acqua dolce, piuttosto timido, che vive placidamente sul fondo, muovendosi il meno possibile e stando per lo più nascosto e al riparo”. Nel gergo teatrale, si associano al termine tinca i ruoli minori, le così dette “particine” o “cammei” che non pronunciano più di una, due battute nell’arco di un intero spettacolo.
Oltre la quarta parete
Giuseppe Manfridi, come una guida turistica, munita addirittura di regolare badge, ci conduce oltre la quarta parete, nella magica dimensione del teatro, alla scoperta di questa figura. Anche perché, rispetto a quanto visibile dalla platea, la dimensione teatrale che sussiste oltre la quarta parete, vive di vita propria, con gli attori, che entrano ed escono dalla scena, ed i personaggi che, invece, risiedono sempre lì. Tra questi, la tinca teatrale è uno dei più complessi e delicati; se ne sta in disparte, covando la sua frustrazione e il suo orgoglio ferito.
Eppure, nonostante le poche battute, specialmente in alcune pièce, il ruolo della tinca è tutt’altro che marginale, tanto che se ne possono distinguere addirittura due tipologie: il cammeo e la particina.
Il Cammeo
Il primo che si caratterizza per una battuta viva, vitale, un gesto efficace, in genere, è molto ambito dagli attori anziani che così possono “andare in palcoscenico, imparare una breve parte a memoria, si ritrovano con la partecipazione di… e si beccano il loro cachet” per usare le parole del nostro Virgilio.
La Particina
La Particina, invece, è ancora più rara. Ha un tono dimesso e, per questo, è estremamente permalosa e sensibile; ma, in alcuni ecosistemi letterari, è davvero INDISPENSABILE. Questo è il caso di Romeo e Giulietta, che qui viene analizzato attraverso un esilarante dialogo tra la guida esperta: Giuseppe Manfridi e Baldassarre, alias Lorenzo Manfridi, ovvero lo sfortunato messaggero che consegnò a Romeo il messaggio sbagliato sulla definitiva morte di Giulietta. Da cui poi, effettivamente, scaturisce il dramma. Dunque un ruolo breve ma essenziale per il procedere dell’opera.
Il dialogo per scoprire la Particina
Il dialogo tra i due è molto interessante. Pur avendo una spiccata verve comica; ha, nello stesso tempo, un profondo valore didattico, dal momento che rappresenta un pretesto per condurre un’approfondita riflessione sul teatro.
Dall’aspetto attoriale, per cui “le particine”, essendo generalmente assegnate ad attori giovani, magari al loro esordio, rappresentano sempre un ruolo felice; dal momento che coincidono con un “inizio” di carriera.
All’aspetto drammaturgico, per cui, in alcuni casi, come appunto quello di Romeo e Giulietta, la particina riveste un ruolo fondamentale per lo svolgersi del dramma. In altre parole, nell’ecosistema letterario shakespeariano, la breve particina di Baldassarre assurge a: “Simbolo delle disavventure che intervengono a sciupare speranze e progetti per mettersi in lotta con la felicità”.
L’autostima della Particina
E se, come dichiarato dalla guida all’inizio, l’intento del dialogo con la Particina – chiamata in scena Lemme Lemme per non ferirla attraverso una definizione che potrebbe essere percepita come dequalificante – è quello di elevarne l’autostima; direi che lo spettacolo è perfettamente riuscito nell’intento. Non solo nei confronti della particina che, alla fine, consapevole di essere stata protagonista di un’opera a cui ha conferito addirittura il titolo, ne viene fuori davvero “rinata”; ma anche nei confronti del pubblico che, sicuramente, esce dal teatro ricco di nuove consapevolezze.
Un incipit inaspettato
Per chiudere, una parola sull’incipit estremamente affascinante dello spettacolo che, svolgendosi nel foyer, spinge al limite il confine tra teatro e non teatro. Il pubblico, sorpreso, rimane inizialmente perplesso di fronte all’esordio magistrale di Giuseppe Manfridi; tanto che impiega qualche istante per “entrare” nello spettacolo e lasciarsi trasportare dall’esperta guida, altre la quarta parete, nel magico mondo del teatro.
L.P.