Ludovica Palmieri

Gilgameš, un poema senza tempo

Prima dell’Iliade. Prima dell’Odissea. Prima della Bibbia. Prima, ovviamente, della Divina Commedia; c’è stato un poema che ha trattato temi di stampo universale, poi affrontati nei testi sopracitati e divenuti costitutivi per la cultura occidentale.

Dal mito della fondazione della città a quello del diluvio universale, dallo scontro fratricida per il potere, alla discesa agli inferi.

Prima di Omero, dei Profeti, di Dante, il poema di Gilgameš ha narrato tutto questo, in una vera e propria epopea, concepita nel XIX secolo a.C., sulle sponde dell’Eufrate, nella cosiddetta area della mezzaluna fertile.

Gilgameš: dagli assiri a noi

Come ha ben spiegato Noemi Ghetti, regista e autrice dello spettacolo “Voci per Gilgameš – reading musicale”, in scena al Teatro Basilica, il 23 e il 24 settembre, Gilgamesh è “la Storia delle Storie, la prima raccontata da uomo, che come ogni poesia parla del senso della vita umana”. Si tratta di un poema giunto a noi solo recentemente, negli anni Ottanta del secolo scorso, quando, grazie a una cerchia di specialisti si cominciò a diffondere l’eco di una letteratura sumerico-arcaica antecedente a quella greca. La saga di Gilgameš venne pubblicata in Italia nel 1993, nella traduzione del famoso assiriologo Giovanni Pettinato, già interprete del ricchissimo archivio di Ebla, emerso dagli scavi di Paolo Matthiae, nella città siriana fiorita tra il 2500 e il 1600 a.C.

La versione teatrale di Noemi Ghetti 

La versione teatrale presentata da Noemi Ghetti, interpretata da Valentina Gristina e Giorgia Porchetti, accompagnata dalle musiche originali di Francesco Venerucci e Henry Purcell, prodotta da A.G. PRODUZIONI, si ispira alla ricerca di Massimo Fagioli, psichiatra, psicoterapeuta, fondatore della Teoria della Nascita e dell’Analisi Collettiva, che per primo ne colse la portata rivoluzionaria.

Un mondo di valori

Infatti, rispetto ai testi classici e religiosi, la Saga di Gilgameš è una fonte di umanità e di stimoli positivi, rivelando quanto fosse sana e umana la cultura orientale delle origini.

Amicizia e non invidia

Gilgameš, in scena
Gilgameš, in scena

In particolare è significativo il ribaltamento di alcuni topoi fondanti della letteratura e, dunque, della cultura occidentale. Il ben noto: homo homini lupus, che si estrinseca magistralmente nel mito degli scontri fratricidi di Caino e Abele e Romolo e Remo; in Gilgameš è totalmente assente per fare spazio ad una celebrazione dell’amicizia maschile, come sentimento puro e potenziante, basato su una dinamica di affettività profonda che si sviluppa senza alcuna invidia o volontà di prevaricazione.

Il rapporto con l’immagine femminile

Il rapporto uomo-donna che nella letteratura classica è all’origine di mali come la guerra di Troia nell’Iliade, la perdizione nell’Odissea e la dannazione eterna nella Genesi, nel poema assiro diventa fonte di vita, umanità, conoscenza e intelligenza. È nel rapporto con l’immagine femminile che Enkidu trova la forza per abbandonare la steppa e andare in città; per aprirsi al confronto con gli uomini, quindi, per trovare se stesso.

I sogni, più importanti che mai

Inoltre, come fa notare lo spettacolo, anche i sogni, e dunque l’identità irrazionale dell’essere umano, in Gilgameš vengono interpretati in maniera completamente opposta alla cultura occidentale. Infatti, se il logos greco, basato sulla lucida razionalità arrivava a escludere donne, bambini e schiavi – considerati da sempre esseri meno razionali – dalla Res Publica; nella saga antica l’inconscio, nelle sue manifestazioni oniriche, assume un’importanza assolutamente inedita.

Umanità e non divinità 

Per concludere, un altro aspetto che mi è parso rivoluzionario nel poema è il fatto che la piena realizzazione del protagonista, nato per 2/3 uomo e 1/3 dio, avviene non come divinità ma come essere umano, a differenza dei miti greci (come Ercole) e religiosi (…), per i quali la condizione umana è depotenziante.

Gilgameš, dopo essersi disperato per la perdita dell’amico Enkidu decide di conoscere i segreti dell’immortalità ed intraprende il cammino nelle viscere terra. Alla fine della dodicesima ora arriva al giardino del dio sole e da lì continua, nel regno delle tenebre, attraversando il fiume dei morti per arrivare alla conoscenza… Ebbene, ciò che l’ero comprende al termine del suo vagare è che il segreto della vita è quella di viverla con intensità, fino in fondo. Di essere esseri umani e realizzarsi come tali, magari lasciando qualcosa dietro di sé. Perché ciascuno nasce con una propria immagine e non ha bisogno di diventare altro per realizzarla.

Una messa in scena creativa 

Lo spettacolo, che si avvale della suggestiva scenografia di Roberta Pugno, grazie alla semplice ma efficace regia di Noemi Ghetti, mette in luce tutto questo e trasmette agli spettatori grandi e vibranti emozioni, amplificate dalle splendide musiche che rimangono impresse nella memoria degli spettatori anche parecchio tempo dopo la fine dello stesso.

Ludovica Palmieri

 

 

 

 

 

 

 

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