Vivremo mai in un mondo di libertà e uguaglianza, senza discriminazioni di genere, provenienza ed estrazione sociale?
Fantasme
Questa, a mio parere, è la domanda che muove tutto lo spettacolo “Fantasme”, in scena al TeatroSophia dal 10 al 15 maggio 2022.
Tratto dal libro: “Le Fantasme. Da Messalina a Giorgiana Masi” di Claudio Marrucci e Carmela Parissi, pubblicato da Fefè Editore, lo spettacolo, diretto e adattato da Guido Lomoro, vede come protagoniste Maria Concetta Borgese, Marta Iacopini, Silvia Mazzotta.
Una riflessione sul termine Quadro
Fantasme è uno spettacolo particolare. Basti pensare che non è diviso in atti o tempi, ma in quadri. A mio parere, questa definizione non è casuale perché, riportandoci alla pittura e, nel caso specifico, ai tableau vivant, mi pare che intenda sottolineare la potenza del teatro come immagine in movimento e prepararci allo spettacolo.
I tre Quadri
Lo spettacolo si svolge in tre quadri che, per quanto simili, sono molto diversi tra loro. In tutti e tre le tre attrici dominano la scena come se fosse la loro dimensione naturale. Si dimenano agilmente, amplificando con i loro corpi e le loro voci le dimensioni della sala. Stupiscono per l’audacia, l’ampiezza, la libertà dei loro gesti e, nello stesso tempo, la capacità di andare all’unisono.
La musica e i corpi
Oltre l’avvincente sceneggiatura, i loro corpi “parlano”, supportati anche dalle eloquenti musiche, non solo composte appositamente per l’occasione da Theo Allegretti, ma suonate anche dal maestro live, durante lo spettacolo, per dare maggior forza all’azione scenica, sottolineandone i momenti salienti e rendendone ancora più suggestive ed enfatiche le atmosfere. Tutti e tre i quadri sono solcati da due leit motiv che mi hanno colpito: “Solo chi conosce il dolore, sa infliggere dolore” e “Quanto poco si conoscono le donne”, frasi dal valore ipnotico che, inevitabilmente, rapiscono e portano a riflettere gli spettatori.
Il primo Quadro
Il primo quadro si apre in maniera inaspettata, come se le tre attrici nascessero dal palco, giocando con l’essenziale ma efficace scenografie di Enzo Piscopo che fa loro da complice per tutto lo spettacolo. A mio avviso, questo primo momento, è proprio concepito per far “entrare” gli spettatori nell’atmosfera dello spettacolo. Qui, le tre attrici presentano e approfondiscono, una per volta, le figure di Gaia Lavinia Volumnia – Maria Concetta Borgese, passionale matrona etrusca; Bianca Maria Aloisia Malaspina – Marta Iacopini: giovane albina uccisa per stregoneria nel Medioevo; Bianca Lancia – Silvia Mazzotta, concubina morta suicida di Federico II di Svevia.
In questo primo quadro, ogni Fantasma si prende il suo tempo per raccontare la sua tragica vicenda, sostenuta dalle altre due anime in pena che, come in una tragedia greca, rafforzano il pathos dell’azione facendo le veci del coro. I movimenti sono scattanti, vorticosi, esasperati ma sempre perfettamente cadenzati come se le tre attrici, o forse dovrei dire le tre Fantasme, fossero legate da fili invisibili. Gli abiti che indossano, semplici, minimali, bianchi, esaltano i corpi e i loro movimenti, mettendone in evidenza la femminilità e la vulnerabilità. La purezza e l’innocenza.
Il secondo Quadro
Il secondo quadro, assume un ritmo più veloce e incalzante. Sul palco, le tre attrici diventano: Marta Iacopini: Artemisia Gentileschi, pittrice del Seicento che proprio per tale particolarissimo (per l’epoca) ruolo subì violenze e soprusi; Silvia Mazzotta: Beatrice Cenci, nobildonna romana giustiziata nel 1599 per parricidio; Maria Concetta Borgese: Lucrezia Borgia, figlia illegittima di papa Alessandro VI, che nella giovinezza fu pedina nelle mani del padre e del fratello ma che, nella maturità, dimostrò una grandissima intelligenza e lungimiranza sposando Alfonso d’Este e diventando Signora di Ferrara che rese una delle corti più splendide del XVI secolo. La rappresentazione delle tre Fantasme stavolta è frammentata. Le loro storie si intrecciano e si sovrappongono senza mai confondersi, in un singolare gioco di echi per cui, nella loro eterogeneità, si rafforzano a vicenda. Anche qui, dove i movimenti sono più veloci e altamente drammatici, le attrici sono perfettamente connesse e sincronizzate.
Il terzo Quadro
Poi… Silenzio.
I costumi
Che il terzo quadro sia un momento di rottura è ben evidente dalla pausa che lo precede in cui le attrici, senza abbandonare la scena, si cambiano d’abito. Dismettono le innocue vesti succinte per indossare dei vestiti che ne connotano la personalità. Sempre rigorosamente bianchi ma con un particolare che mi ha colpito: le scarpe. Questo dettaglio della costumista, Tania Orsini, non solo ci riporta ad una dimensione di realtà, di presente e presenza ma la qualifica anche come sporca e negativa, perché hanno la suola volutamente ed esageratamente insozzata di nero.
Le Fantasme contemporanee
E, in effetti, queste premesse non smentiscono le aspettative perché il quadro si apre bruscamente e ci scaraventa nella modernità, come per ricordarci che le Fantasme sono senza tempo. Non appartengono solo al passato ma anche al presente. Solo che, “apparentemente”, questo salto nel tempo non è totale, perché accanto a: Rita Rosani – Maria Concetta Borgese, partigiana italiana di origine ebraica, medaglia d’oro al valore militare, caduta in combattimento contro gli oppressori; Giorgiana Masi – Silvia Mazzotta: studentessa, uccisa da una pallottola vagante durante un corteo negli anni di piombo; il regista ci presenta Bianca Maria Martinengo – Marta Iacopini: nobile infante del Cinquecento, morta tragicamente mentre una notte cercava di catturare delle lucciole.
Bianca Maria Martinengo: una figura tra storia e profezia
Dico “apparentemente” perché, a mio parere, la figura della Martinengo, morta per cercare di toccare le lucciole, rappresenta una sottile metafora della contemporaneità. Nella misura in cui, per citare Pier Paolo Pasolini, nel famoso articolo “Il vuoto del potere” (Corriere della Sera, 1° febbraio 1975) – che ha anche ispirato Gian Maria Tosatti per Storia della Notte e Destino delle Comete, Padiglione Italia, 59° Biennale d’Arte di Venezia – la scomparsa delle lucciole rappresenta la rottura definitiva del rapporto uomo-natura, il punto di non ritorno oltre il quale non sarà facile ripristinare un nuovo equilibrio. Dunque, alla luce di questa riflessione, penso che il sacrificio della giovane fanciulla, per quanto accadimento storico, possa essere anche letto in chiave profetica, più che mai attuale, come un appello a salvare il mondo, a fare marcia indietro sul climate change, prima che sia davvero troppo tardi.
Fantasme è volontà di riscatto. Affermazione di identità
Le Fantasme di Guido Lomoro sono nove donne. Nove donne molto diverse tra loro, per epoca, storia, passioni e inclinazioni, ma accumunate da un unico drammatico fil rouge: una vita condizionata dalla presenza degli uomini e caratterizzata da una volontà di riscatto.
Fantasme: un messaggio universale
Tuttavia, anche se Fantasme sono le anime senza pace di queste donne che in vita hanno dovuto combattere per difendersi, emergere e farsi valere; mi pare che il messaggio trasmesso dallo spettacolo non sia diretto ad un pubblico femminile, ma abbia un carattere universale.
Fantasme, dunque, non vuole essere uno spettacolo sulla questione di genere ma parla attraverso la voce e le esperienze delle donne perché, mi piacerebbe dire storicamente, ma purtroppo trovo che sia una questione ancora drammaticamente attuale, sono quelle che fanno più fatica ad emergere e a farsi ascoltare. Come se, per usare le parole del regista le Fantasme rappresentassero quella voce, a volte purtroppo, inascoltata presente in ciascun essere umano, indipendentemente dalla sua identità di genere, che cerca di metterci all’erta, di ricordarci che è ancora possibile non sbagliare. Ma non solo nei confronti delle donne. Bensì nei confronti di noi stessi e del mondo intero.
L.P.