“Chi ha paura di Virginia Woolf?” uno spettacolo complesso
Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Ludovico Fededegni, Paola Giannini. Gli attori sono tutti di massimo livello per uno spettacolo che è a dir poco complesso. Un ritmo serratissimo per oltre due ore e quaranta di piesse. Caratterizzata da una dialettica che procede incalzante, senza esclusione di colpi e senza risparmiare nessuno dei protagonisti.
Al teatro Argentina di Roma, l’ambiente è quello di un salotto alto borghese. All’interno un pianoforte scalcinato, arredi di design alquanto singolari, a tratti sonori, perfetti per amplificare il dramma e aggiungere un tocco di sarcastica ilarità.
Il fallimento di un’idea di famiglia che relega la donna al ruolo di moglie e madre
“Chi ha paura di Virginia Woolf?” di Albee è un testo del 1966 che, sin dal suo esordio, ha avuto un grandissimo successo, per il saper raccontare, a passo svelto e senza indulgenza, quel dramma borghese che allora era agli albori. Oggi, in cui questa frattura vive la sua piena maturità, il testo di Albee, nella nuova traduzione di Monica Capuani, per la splendida regia di Antonio Latella, si conferma estremamente attuale. Svelando le crepe e le fragilità del “sogno americano”.
Una coppia: Martha e George. Non solo annoiata, ma proprio satura. Il loro legame, pur essendo ormai in un avanzato stato di decomposizione, va avanti per inerzia, declinandosi in un sadico minuetto, un gioco al massacro in cui vince chi ferisce l’altro. Rapporto sadomaso che per i disperati protagonisti è meglio del terrore del vuoto che potrebbe assalirli se si lasciassero.
In questo contesto estremo, in cui le verità emergono in maniera fluida e visionaria, esacerbate dai fumi dell’alcol, fanno il loro ingresso gli altri due protagonisti: Nick e Honey, giovane coppia di vittime sacrificali, designate per ricevere un testimone quanto mai indesiderato. Martha e George rispecchiandosi nei due sposini, ne preconizzano l’infausto futuro, frantumandone le vane illusioni.
“Chi ha paura di Virginia Woolf?”: un’opera politica
Come si evince anche dal titolo, “Chi ha paura di Virginia Woolf?” è un’opera politica che denuncia il fallimento della famiglia borghese, intesa come nucleo originario del sistema. Infatti, non appena la donna acquista una sua indipendenza – rappresentata iconicamente da Virginia Woolf – diventa un essere pensante e si libera dal giogo maschile, tutta la costruzione patriarcale borghese crolla. Crollo che, in scena, viene a concretizzarsi anche la questione della maternità. L’escamotage della gravidanza isterica sottolinea quanto, ancora nel 1966, per non dire oggi, ci si aspettasse che le donne, oltre al ruolo di moglie, rivestissero quello di madre, investendole di sensi di colpa in caso contrario. Concetto ribadito da un altro leitmotiv ricorrente nel testo: È molto fragile, è stretta di fianchi, riferito ad Honey, la giovane sposina. Motto che, evidentemente, rappresenta più di una semplice critica alla fisicità femminile – che comunque deve sempre rispettare dei canoni estetici imposti dagli uomini, ma anche un giudizio di merito, come se il valore di una donna si misurasse dalla capienza del suo utero.
La critica sociale
L’aspra critica sociale di Albee continua e investe il tema della libera circolazione delle armi. L’alcolismo: causa e rimedio delle psicosi che affliggono i protagonisti. La malattia mentale, genialmente definita con la frase: “I pazzi non invecchiano perché non cambiano mai espressione.”
L’importanza delle scelte di regia
Tutto questo è raccontato da Antonio Latella con delle immagini potentissime, curate in ogni minimo dettaglio. Dai costumi, di Graziella Pepe, che creano un chiasmo cromatico tra le coppie, sottolineandone il comune destino; alle musiche, di Franco Visioli, che sottolineano il ritmo cadenzato e veloce di tutta la composizione; alle luci di Simone De Angelis che, specialmente sul finire, creano un gioco psichedelico che trasforma lo spettacolo in una vera e propria installazione artistica. Ovviamente, per citare il regista: “Per fare tutto questo ho voluto circondarmi di un cast non ovvio, non scontato. Un cast che possa spiazzare e aggiungere potenza a quella che spesso viene sintetizzata come una notturna storia di sesso ed alcool. Un cast che avesse già nei corpi degli attori un tradimento all’immaginario; un attore contro il fattore molesto della civiltà, che Albee ha ben conosciuto, come ci sottolinea nella scelta del titolo.” E devo dire che le sue scelte sono state più che mai indovinate. Gli attori si muovono all’unisono, danzano in scena, amplificano la potenza del racconto, rendendolo davvero indelebile nella memoria degli spettatori.