Chiudi gli occhi. Quanto vale la vita di una donna?
Quanto vale la vita di una donna? Che differenza c’è tra giustizia e vendetta? Questi sono alcuni degli interrogativi – di stampo esistenziale – che pone Chiudi gli Occhi, spettacolo originale scritto da Patrizia Zappa Mulas, presentato in anteprima assoluta al Teatro Edoardo De Filippo, Officina Pasolini, per la regia di Marco Iermanò, in scena con Chiara Capitani; Alessandro Carbonara e Maurizio di Carmine.
La storia
Chiudi gli Occhi parte da un episodio di cronaca nera, accaduto nel 2004 in Iran. Quando, senza alcun motivo, una ragazza di ventisei anni, Ameneh Bahrami, studentessa di ingegneria, venne aggredita, accecata e sfigurata irrimediabilmente da Majid Movahedi con una bottiglia di acido solforico.
In un paese in cui una donna vale la metà di un uomo e l’acidificazione viene considerata un reato minore, il caso di Ameneh Baharami suscitò una grande eco mediatica; perché, anziché incassare e subire, Ameneh alzò la testa e, rifiutandosi di sparire nel buio come le altre vittime dell’acido, si appellò alla Shari’a, la legge islamica. Così, ottenne un processo che si conclude con il diritto di versare negli occhi di Majid quaranta gocce di acido solforico, secondo la legge del taglione.
La tragedia dal punto di vista del diritto occidentale
Lo spettacolo affronta la vicenda dal punto di vista del diritto occidentale e si svolge a Barcellona, nel 2011. Il contesto è quello di un’Associazione contro le pene corporali, in cui tre avvocati; Xavier giornalista cattolico catalano; Annie, brillante avvocato francese che lavora alla Comunità Europea e suo marito Abu Meddin, affermato scrittore algerino docente di diritto islamico a Barcellona, rispettivamente Iermanò, Capitani e Carbonara, decidono di presentare ricorso alla Corte Europea sul caso. Tuttavia, anziché essere coesi nella costruzione della difesa, i tre protagonisti incappano in una serie di contraddizioni che deflagrano in maniera dirompente, portando alla luce delle weltanschauung completamente diverse.
Il caso di Ameneh, la scintilla che innesca una serie di scontri, dal sociale al personale
Il caso di Ameneh Bahrami diventa una scintilla che, a partire da uno scontro di civiltà su questioni essenziali, etiche ed esistenziali, si traduce in scontri personali. La frattura deriva dall’impossibilità di comprendere, in un’ottica occidentale la necessità di Ameneh di avere giustizia; ove la stessa è strettamente legata alla vendetta. Il cortocircuito tra i concetti di vittima e carnefice diventa il pretesto per uno scavo psicologico nei singoli personaggi. Xavier, si rivela più freddo e cinico nei confronti di Ameneh e, invece di focalizzarsi sul reato commesso da Majid, si sofferma sulla necessità di vendetta della giovane. Abu, di origine islamica, al contrario, non riesce a prescindere dalla gravissima colpa del ragazzo e, soprattutto, è consapevole di quanto la sentenza rappresenti un salto di civiltà nella cultura del paese, equiparando il valore della vita femminile a quella maschile.
Le interpretazioni
Gli attori rafforzano i loro personaggi rivelandone le qualità morali attraverso la loro interpretazione. Iermanò si mostra subito più superficiale e vacuo, attento maggiormente alla forma che alla sostanza e interessato, più che altro, a rispettare un protocollo, senza soffermarsi realmente sulla questione etica e morale. Carbonara, al contrario, vive con estrema passione tutta la vicenda, dilaniato – anche per ragioni personali – tra il tema del perdono e la questione di principio. Tra loro si collocano la Capitani, totalmente in bilico tra l’essere un freddo avvocato e una donna, empaticamente in linea con la vittima; e Maurizio Di Carmine, il medico, che riveste un ruolo super partes, nell’elevare tutta la vicenda su un piano puramente filosofico. Bellissima la battuta in cui collega l’iconoclastia islamica alla necessità di coprire le donne, alludendo alla divinità del loro aspetto.
Lo spettacolo, molto intenso, è tutto giocato su ritmo veloce. Un incessante scontro tra morale, ragione e religione e che si conclude, infine, con il prevalere dell’umanità.
L.P.