Il prof. Paolino: “Che cos’è imputabile?
L’intenzione o il caso? Se l’intenzione non c’è, rimane il caso”
Luigi Pirandello
Pirandello un genio sempre vivo
Il genio non si smentisce mai e Pirandello è sempre una certezza. …specialmente quando la sua opera viene affidata ad un cast di attori capace e talentuoso e ad un regista, nonché protagonista, Luca Ferrini, in grado di intervenire sul testo con eleganza, per adeguarlo alle esigenze sceniche senza stravolgerne la sostanza e l’incisività ma anzi, se possibile, rafforzandola. È questo il caso della messa in scena di L’uomo, la bestia, la virtù, al teatro Vittoria, in corso fino al 10 dicembre. Un’opera che, pur risalendo ad oltre cento anni fa, con la novella del 1909 e l’adattamento teatrale del 1919, dipinge in maniera totalmente disincantata, con uno sguardo acuto e cinico, un ritratto ancora attualissimo della morale dominante.
Una satira pungente verso la morale dominante
Con la sagacia che lo contraddistingue, Pirandello muove una satira tanto feroce nel senso, quanto “educata” nella forma, così da risultare ancora più pungente, ironica e incisiva, alla società dell’epoca. Caratterizzata dall’ipocrisia di essere attaccata a dei valori di facciata, totalmente privi di contenuto, o meglio, modulati a seconda delle convenienze e delle circostanze.
Pirandello e il gioco delle parti
La genialità sta proprio nel cogliere il “gioco delle parti” che ognuno attiva nel proprio vivere quotidiano, per cui, come messo in luce 41 anni dopo, nel 1950, da Akira Kurosawa nel suo Rashomon (羅生門<“La porta nelle mura difensive”), ciascun individuo coinvolto in una determinata vicenda ne sviluppa un punto di vista ed un ricordo – uno story-telling diremmo oggi – assolutamente soggettivo e personale. Pirandello, dunque, mette in luce non tanto la vacuità dei valori perpetrati, quanto il fatto che gli stessi vengano utilizzati come vuoti contenitori da “riempire” di volta in volta, a seconda della convenienza e delle circostanze, di significati diversi ma sempre auto-refenziali e di stampo utilitaristico. Adoperando, quindi, il concetto di “morale” come un contenitore da modulare secondo una propria personale visione del mondo, nella perfetta convinzione che effettivamente sia l’unica giusta e possibile.
I quattro protagonisti
Mi spiego. I quattro protagonisti sono, oserei dire senza malizia, portatori di altrettante versioni della realtà, modellate in base ai propri specifici interessi.
Il professor Paolino
Il professor Paolino, magistralmente interpretato da Luca Ferrini, è fermamente convinto di essere un uomo onesto, integerrimo, di agire nel giusto e che la sua amante, la sig.ra Perella sia effettivamente una donna onesta, anche se platealmente non è affatto così. Ferrini è estremamente convincente nell’interpretazione; appare trafelato, empatico, per poi rivelarsi più sinceramente preoccupato della forma e della rispettabilità della propria reputazione che della salute o dell’immagine della signora che non esita a coprire di ridicolo e vestire come una “poco di buono” pur di raggiungere il proprio scopo.
La signora Parella
Un personaggio, la signora, alquanto complesso da interpretare, proprio per l’ambivalenza della sua indole: da una parte casta, dall’altra spudorata; ma sempre succube di un’identità maschile gretta e poco umana che non la vede in alcun modo se non come moglie, madre o meretrice. Ruolo che Alessandra Mortelliti riveste con maestria e dimestichezza, riuscendo ad essere, al contempo, pudica, sobria, sottomessa e dimessa ma anche ironica, divertente e sul finale anche veramente femminile (come se, attraverso la riscoperta di un’autentica sessualità, fosse riuscita a ritrovare, almeno in parte, la sua identità).
Il capitano Parella
Marco Cavallaro è un ottimo Capitano Parella, sexy nella divisa bianca, un tantino losco in canottiera. Perfetto esemplare del maschio alfa, simbolo del patriarcato e del maschilismo che riduce la donna a compendio della casa, mera figlia di una costola di Adamo. I suoi gesti eclatanti rafforzano ed amplificano la psicologia machista del personaggio, movimentando la scena e facendo letteralmente saltare gli spettatori sulle poltrone. Interessante il paradosso per cui nel suo essere apertamente fedifrago, maleducato e violento, il Capitano Parella è sicuramente più vero e trasparente del professore e della signora.
La domestica
Altrettanto genuino è il carattere delle domestiche, interpretate entrambe – quella del prof. Paolino e quella di casa Parella – da Antonia Di Francesco capace di parlare con gli occhi oltre che con le sue affilate battute e di delineare, con una risata ben piazzata e delle occhiate fulminanti, un’intera situazione. In particolare poi nel secondo atto la domestica diventa rappresentate di un modello di donna emancipato, molto più libero della signora borghese, capace di tenere testa agli uomini, di difendere i propri diritti e di non farsi mettere i piedi in testa. Il tutto con un tono sempre ironico e coinvolgente.
I più giovani e il medico
Uno spettacolo dunque riuscitissimo anche per i contributi dei più giovani, in particolare Chiara Del Francia che è esilarante nella gag sui voti troppo alti e Denis Persichini e Ludovico Colonna che, con agilità, si rendono davvero insopportabili. Ficcante il ruolo del medico, deus ex machina che, da una parte sistema la vicenda, dall’altra, nell’accontentare l’ipocrisia dell’amico, lo fa fesso e cornuto (sempre che si possa dire di un amante).
Andare oltre un’ipocrisia non più necessaria
Concludo con una considerazione personale: mi piacerebbe poter pensare che, per quanto Pirandello sia sempre attuale, oggi siamo oltre questa situazione; che l’ipocrisia non sia più tanto necessaria, nella misura in cui la transizione verso una “fluidificazione” della società e del modo di concepire i rapporti, con la progressiva abolizione degli stereotipi e delle convenzioni, possa effettivamente libarci dalla necessità di dover necessariamente rispecchiare dei “ruoli”, dandoci l’opportunità di essere semplicemente chi realmente siamo.
L.P.