Bambola – La storia di Nicola
Tra memoria e fantasia, tra storia e poesia, c’è Bambola – La storia di Nicola, un monologo a più voci, scritto da Paolo Vanacore, diretto e interpretato da Gianni De Feo, in scena al Teatro Lo Spazio. In bilico tra una storia di vita e una storia d’amore, quella di Nicola è una vicenda in cui il piano di realtà si mescola indissolubilmente con quello della fantasia, per creare un solido substrato in cui, a cavallo tra passato e presente, si muove con disinvoltura il protagonista.
L’intensità di De Feo negli occhi di Nicola
Nicola, interpretato da un intenso e commovente Gianni De Feo, è un bambino desiderato ma poi non voluto, da una madre fredda e anaffettiva che, come se stesse acquistando un oggetto, voleva una femmina e non un maschio. Nicola, è un bambino sopravvissuto grazie ad un amore paterno dal carattere eccezionale, potente e straripante. Un amore che, superando i confini della percezione, si rifletteva nello sguardo di Nicola, profondo, gentile e buono. Che sarebbe rimasto sempre tale, anche da adulto, nonostante gli schiaffi della vita.
Nicola è Bambola
Poco dopo l’inizio, la storia di Nicola si intreccia saldamente a quella di Bambola, nome d’arte con cui il protagonista affronta la sua vita di strada o “strada di vita”, tra amanti passeggeri e colleghe. Pseudonimo con cui si presenta a Giovanni, il vero amore della sua vita.
Gianni De Feo con una vigorosa – ma non ingombrante – presenza scenica, servendosi di un linguaggio composto da parole, movimenti e canzoni originali di Alessandro Panatteri, con gentilezza conduce il pubblico negli abissi dell’animo umano, alla scoperta dell’intimità del protagonista. La realtà interna di Nicola è scomoda, diversa, fondata su scelte estranee alla morale dominante che lo portano a definirsi “l’eterno altro”. Il testo di Paolo Vanacore è profondissimo, denso di tematiche emblematiche, come l’analisi della drammatica infanzia, spezzata a otto anni dalla brusca scomparsa del padre, unico punto di riferimento affettivo; caratterizzata poi dal silenzio di un rapporto inesistente con la madre, vuota e assente, che finisce con il togliersi la vita al compimento della maggiore età del figlio. Paolo Vanacore, affronta la scoperta della sessualità e, senza giudizio, la scelta di vita del protagonista che, rifiutando l’indigenza, inizia a battere i marciapiedi.
Un monologo a più voci
Gianni De Feo è allo stesso tempo Nicola, Bambola e Giovanni, a riprova del fatto che gli esseri umani, pur non essendo necessariamente perversi, sono multiformi, sfaccettati, inquieti. A riprova del fatto che non esistono risposte univoche o universalmente valide, perché ogni individuo è un organismo complesso e mutevole, destinato a cambiare e ad evolversi nel tempo.
Poi. Un lampo. Lo spettacolo si caratterizza per un eclatante colpo di scena che ribalta tutto; spariglia le carte e costringe gli spettatori a tornare al punto zero. Ma non dirò di più.
Tra i passaggi che mi hanno maggiormente colpita, ho trovato particolarmente efficace la descrizione dell’amplesso come manovra in auto, in cui la performance di Gianni De Feo è stata sensuale e convincente senza essere volgare.
Per concludere, una parola su scene e costumi di Roberto Rinaldi, elementi essenziali a supporto della narrazione; sia come amplificatori di senso, per il loro essere eloquenti e ambigui, carichi di molteplici riferimenti culturali; sia come escamotage per scandire e dilatare il tempo scenico, facendo corrispondere ad ogni momento del racconto, nonché fase della vita del protagonista, un modo di essere, in una risonanza simbolica e significativa tra tempo interno ed esterno.