Uno spettacolo teatrale pittorico per il suo procedere per immagini in movimento, come fosse una lunga sequenza di tableau vivant.
Niobe, Regina di Tebe
Come se, nell’ottica di Stefano Napoli, alla guida della compagnia Colori Proibiti, solo le immagini e non le parole riuscissero davvero a rappresentare il dramma di Niobe.
Niobe, una ribelle, una creatura di frontiera, al limite tra due mondi, quello umano e quello divino. Niobe è la madre. Punita dagli dei per aver osato gridare la sua felicità di madre sazia di figli, quando solo gli dei e non i mortali potevano dirsi felici. La regina immaginata e portata in scena ai Giardini della Filarmonica di Roma, per la rassegna i Solisti del Teatro, dalla compagnia Colori Proibiti, entra a pieno titolo a far parte di Vanity Dark Queen; ciclo con cui il Gruppo rielabora e fa rivivere emblematiche ed enigmatiche storiche figure femminili.
Il mistero di Niobe
In Niobe il mistero è massimo. Una regina in bilico tra vano delirio e acuta disperazione, protagonista di una storia in cui non mancano amore, vanità, invidia, perdita, resistenza e, aggiungerei, dolore. Circondata, a tratti riverita, a tratti oltraggiata, da diversi personaggi, primi tra tutti i suoi figli, che sul palco muoiono più e più volte platealmente, colpiti dalle letali frecce divine.
Senza parole, solo attraverso musica e movimenti, il cast accompagna la Regina tra momenti di lutto, nero dramma e, altri, di vuota esaltazione, lungo un percorso che tocca le diverse trasformazioni, di cui, come nota Stefano Napoli, storicamente Niobe è stata oggetto. L’immagine della sfortunata protagonista è passata da ribelle a mater dolorosa e regina del lutto, fino a diventare elemento decorativo di fontane e giardini.
L’arte protagonista della scena
Il tempo della narrazione viene scandito in quadri; sembra dettato dall’attore che siede in disparte, fuori dal palco, nei panni dell’artista. Come un moderno Prometeo, plasmando la creta e disegnando, determina il susseguirsi degli eventi, fino a diventarne parte.
Nella mia visione, lo spettacolo ripropone in versione attualizzata, e decisamente rock, diversi capolavori della storia dell’arte. La Pietà di Michelangelo; la Libertà che guida il popolo di Delacroix; La Morte di Marat di David; la plateale strage dei Niobidi. Uccisioni che, dopo essere stati tradotte in armoniosi gruppi scultorei, nella visione disincantata di Napoli, sul palco, vengono interpretati proprio rispecchiando l’ultima versione del tragico mito: quella decorativa. Tuttavia, alludendo apertamente al valore estetico che fu attribuito alla storia, Stefano Napoli ribalta la parabola discendente di Niobe, da dramma ad ornamento; riportando la regina di Tebe agli antichi splendori.
Il corpo in primo piano
I protagonisti dello spettacolo, in una veste di danzatori più che di attori, rivitalizzano la tradizione del mimo, esasperando gesti e movimenti, in un’interpretazione poetica e visionaria del mito. Alla statica ieraticità della Regina di Tebe, si contrappone l’agilità dei suoi figli che, con leggiadre contorsioni, muoiono e rinascono innumerevoli volte.
Un’atmosfera conturbante in cui tutto può avvenire
I conturbanti e provocatori costumi ed accessori di Sasà Salzano; la colonna sonora, composta da brani classici, storici, rock, rafforzano la suggestione frammentaria di questo spettacolo maleducato, scomodo, fuori dagli schemi. Una pièce che si caratterizza, dall’inizio alla fine, per un’atmosfera distopica e dissacrante; in cui appare ben chiaro, sin dalla prima scena che tutto può avvenire. Lo spettacolo si apre, infatti, con un attore che, a torso nudo, aspetta, un tantino scocciato, che la platea faccia silenzio per entrare in azione.
Niobe Regina di Tebe, conduce gli spettatori nella dimensione delle Vanity Dark Queen e della compagnia Colori Proibiti, una realtà agli antipodi del rassicurante conformismo borghese.