Il Figlio, un’acuta analisi della malattia mentale
Un dramma familiare. Vero e senza sconti. Il Figlio di Florian Zeller, dopo il successo dell’anno scorso, torna al teatro Parioli fino al 7 aprile, per la regia e l’adattamento di Pietro Maccarinelli con Cesare Bocci, Galatea Ranzi, Giulio Pranno, Marta Gastini e Riccardo Floris.
Uno spettacolo asciutto che senza mezzi termini porta in scena il dramma della psicosi familiare, in un climax ascendente, lucido e ben costruito, direi quasi chirurgico.
Il coraggio di affrontare lo stigma
Un focus su quell’apparentemente inspiegabile male di vivere che colpisce un numero considerevole di giovani, figli di una borghesia agiata, a cui – teoricamente – non mancherebbe nulla, non solo per farcela, ma proprio per avere successo. Il tema è che l’autore Zeller e il regista hanno il coraggio di aprire il vaso di Pandora, parlando esplicitamente di malattia mentale, nello specifico di schizofrenia bipolare: patologia riconosciuta ma di cui non si parla e che si lascia chiusa nei reparti psichiatrici, appannaggio degli addetti ai lavori. Come se non fosse una malattia a tutti gli effetti ma uno stigma, un passaggio molto probabilmente dovuto anche all’approvazione della legge Basaglia del 1978 che, sancendo la chiusura dei manicomi, anziché un rinnovamento e aggiornamento delle cure, in un certo senso ridimensionava la gravità delle patologie psichiatriche a disagio mentale.
Uno spettacolo per mettere in guardia
Il Figlio, a mio parere, non intende essere uno spettacolo emotivo. Non vuole commuovere, trovare un responsabile, fare un processo alla famiglia contemporanea. Quanto piuttosto mettere in guardia gli spettatori e lo fa anche mantenendo alta la quarta parete e quindi la distanza tra gli stessi e spazio scenico.
Lo spettacolo offre un’acuta analisi di come la pazzia si insinui gradualmente, secondo una dinamica estremamente pericolosa in una società che tende a normalizzare ogni comportamento, a giustificare tutto.
Nel suo essere palesemente esplicito, ricco di gesti plateali, chiassosi, Il Figlio mette in evidenza l’incapacità di vedere dei protagonisti che, nonostante la lampante evidenza dei fatti, negano categoricamente la malattia; una cecità che sul finale diventa aberrante.
In questa negazione, che Massimo Fagioli avrebbe definito annullamento, è contenuto tutto il dramma. L’impossibilità di essere che è rappresentata non solo dalla psicosi del figlio ma anche dalla sua origine, ovvero da quella dei genitori.
Gli Attori
Gli attori sono tutti impeccabili, in una recitazione pulita, asciutta che, nonostante i momenti di forte pathos e le scene anche fisicamente impegnative, non è mai stucchevole o ridondante. Ogni personaggio vive un proprio dramma che lo rende vittima e carnefice allo stesso tempo, dimostrando come la ricerca della colpa sia uno sforzo tanto inutile quanto vano e sottolineando come l’unico davvero innocente: Sasha, il bambino neonato, sia compromesso dal solo essere venuto al mondo in momento oscurato dall’ombra scura della schizofrenia.
Efficace anche la scenografia di Carlo de Marino che, con la quinta sfalsata, amplifica e facilita i movimenti scenici.
Credits:
Cesare Bocci, Galatea Ranzi, Giulio Pranno, Marta Gastini
IL FIGLIO
di Florian Zeller
traduzione e regia Piero Maccarinelli
con Riccardo Floris
Scene Carlo de Marino
Costumi Gianluca Sbicca
Musiche Antonio di Pofi
Luci Javier Delle Monache
Assistente alla regia Manuel Di Martino
Amministrazione Daniela Angelini
Produzione Il Parioli e Teatro Della Pergola